
Il diritto internazionale marittimo, spesso percepito come una branca tecnica del diritto internazionale, è in realtà un crocevia complesso e dinamico dove convergono principi fondamentali del diritto dei popoli, del diritto dei conflitti armati e della tutela dei diritti umani. Il mare, spazio globale per eccellenza, è lo scenario di interazioni giuridiche che vanno ben oltre le mere questioni di navigazione o sfruttamento delle risorse.
Il diritto internazionale marittimo, codificato principalmente nella Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS, 1982), non si limita alla regolazione della navigazione o all’uso delle risorse marine. Esso rappresenta un punto di convergenza tra molteplici branche del diritto internazionale, assumendo una funzione essenziale nel bilanciare sovranità statali, pace e tutela della persona umana. La sua portata va ben oltre le coste, abbracciando aspetti fondamentali del diritto dei popoli, del diritto internazionale umanitario e della protezione dei diritti umani.
Analizziamo alcuni dettagli
- Diritto dei Popoli e Sovranità Marittima
La Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) del 1982 riconosce agli Stati costieri diritti sovrani su zone economiche esclusive e piattaforme continentali, ma al tempo stesso tutela gli interessi collettivi della comunità internazionale nella libertà di navigazione, nella protezione dell’ambiente marino e nella cooperazione scientifica. Le dispute sulle delimitazioni marittime, ad esempio nel Mar Cinese Meridionale, mostrano come le rivendicazioni sovrane si intreccino con il diritto dei popoli all’autodeterminazione e all’accesso equo alle risorse.
UNCLOS sancisce, agli articoli 55-76, diritti sovrani degli Stati costieri su Zona Economica Esclusiva (ZEE) e piattaforma continentale. Tuttavia, il diritto dei popoli all’autodeterminazione e al libero accesso alle risorse comuni si riflette nei principi del mare aperto (high seas), secondo cui la libertà di navigazione, pesca, ricerca scientifica e posizionamento di cavi sottomarini è garantita a tutti gli Stati (artt. 87-89 UNCLOS).
In contesti di disputa marittima — come nei casi del Mar Cinese Meridionale o del Golfo di Guinea — la Corte Internazionale di Giustizia ha più volte ribadito che le delimitazioni devono tener conto sia dell’equità (vedi Maritime Delimitation in the Black Sea, ICJ, 2009) sia dei diritti storici e culturali dei popoli costieri.
- Conflitti Armati e Uso della Forza in Mare
Il diritto marittimo si sovrappone al diritto internazionale umanitario nei casi in cui si verificano conflitti armati in mare. Gli attacchi a navi civili, il blocco navale o la posa di mine sottomarine sono disciplinati da norme che richiedono proporzionalità, distinzione e necessità militare. Il mare diventa dunque teatro di guerra, ma anche luogo dove i limiti imposti dal diritto dei conflitti armati devono essere rispettati per proteggere la vita umana.
Il diritto marittimo si incrocia con il diritto internazionale umanitario (DIU) in caso di conflitti armati. La San Remo Manual on International Law Applicable to Armed Conflicts at Sea (1994) fornisce le linee guida più riconosciute in materia. Vi si afferma, tra l’altro, l’obbligo di distinzione tra obiettivi militari e civili (art. 42), e l’illiceità di attacchi a navi ospedale o civili non armate (artt. 47-51).
Il diritto internazionale marittimo non è un compartimento stagno: è un diritto multidimensionale, nel quale confluiscono logiche stataliste, esigenze umanitarie e valori globali. In un’epoca di riscaldamento globale, migrazioni forzate e conflitti asimmetrici, la funzione regolatrice del diritto del mare diventa anche etica e politica.
Come sottolineato da Tullio Scovazzi, «la governance degli spazi marittimi non può prescindere dal rispetto dei diritti fondamentali della persona e dal principio di cooperazione tra Stati» (Diritti umani e diritto del mare, Riv. Dir. Internaz., 2014).
Il futuro del diritto marittimo sarà quindi deciso non solo nelle aule dei tribunali internazionali, ma anche nella capacità degli Stati di adottare comportamenti cooperativi e responsabili nel rispetto della dignità umana.
Inoltre, la pratica del blocco navale deve rispettare la proporzionalità e non causare fame alla popolazione civile (ICRC Commentary on Additional Protocol I, art. 54).
Un tipico esempio sono gli eventi avvenuti nel 2025 sul blocco navale avvenuto a Gaza
Il diritto internazionale prevede che anche in alto mare i princìpi di umanità e necessità limitino l’uso della forza.
- Diritti Umani e Protezione delle Persone in Mare
Le crisi migratorie recenti hanno posto l’accento sulla dimensione umanitaria del diritto del mare. Il dovere di soccorso in mare (art. 98 UNCLOS), la non-refoulement dei rifugiati e la protezione dei richiedenti asilo rappresentano una sovrapposizione tra diritto marittimo e diritti umani. Le operazioni di respingimento in mare, le detenzioni a bordo o nei porti sollevano questioni cruciali di giustizia e responsabilità statale.
Negli ultimi decenni, il Mediterraneo è diventato l’emblema del fallimento e delle sfide del diritto del mare nella tutela dei diritti umani. L’art. 98 UNCLOS impone l’obbligo di soccorso in mare, mentre la Convenzione SAR (1979) e la Convenzione SOLAS (1974) rafforzano tale dovere.
Tuttavia, molte operazioni di respingimento (pushbacks), come riconosciuto nella giurisprudenza della CEDU (v. Hirsi Jamaa v. Italy, 2012), violano l’art. 3 CEDU e il principio di non-refoulement. Il diritto marittimo, quindi, deve conciliarsi con le convenzioni internazionali sui rifugiati (Convenzione di Ginevra 1951) e sui diritti civili e politici (ICCPR).
Il diritto internazionale marittimo è molto più che un insieme di regole tecniche: è un campo giuridico stratificato, in cui si riflettono le tensioni, le ambizioni e le fragilità della comunità internazionale. La sua funzione oggi è anche quella di garantire che il mare rimanga uno spazio di pace, cooperazione e rispetto della dignità umana, e non solo un teatro di competizione geopolitica o sfruttamento economico.


