Nel contesto della vita condominiale, tra le numerose fonti di conflittualità che possono sorgere tra i residenti, i motori dell’acqua – noti anche come autoclavi o pompe di sollevamento – rappresentano una causa frequente e spesso trascurata di disagio e contenzioso. Questi impianti, fondamentali per garantire la pressione e la distribuzione dell’acqua ai piani superiori degli edifici, possono infatti generare una serie di problematiche che incidono negativamente sulla qualità della vita degli abitanti.

Il fastidio più evidente è quello acustico: i motori dell’acqua possono produrre ronzii continui, colpi improvvisi o vibrazioni percepibili anche all’interno delle unità immobiliari, soprattutto se l’impianto è collocato in prossimità di locali abitati, come camere da letto o soggiorni. In molti casi, tali rumori si manifestano durante l’intero arco della giornata – o peggio, anche nelle ore notturne – compromettendo il riposo e il benessere psicofisico degli occupanti.

Il disagio da rumore prodotto da un motore d’acqua può integrare una violazione del diritto alla quiete e al normale uso della proprietà privata, tutelato dagli articoli 844 e 2043 del Codice Civile. Se il rumore supera la normale tollerabilità (da valutarsi anche mediante perizia fonometrica), il danneggiato può agire per il risarcimento del danno o chiedere l’inibizione dell’attività disturbante.

I motori dell’acqua sono indispensabili ma non devono diventare fonte di disagio. Un’attenta manutenzione, la corretta progettazione degli spazi comuni e l’intervento dell’amministratore in caso di lamentele sono elementi essenziali per una convivenza pacifica. Il diritto al comfort abitativo è un diritto di tutti, e la gestione degli impianti comuni deve sempre contemperare le esigenze tecniche con il rispetto della qualità della vita.

Alcuni disagi derivano dalla scorretta installazione del motore, spesso collocato in ambienti non isolati acusticamente o addirittura a contatto con pareti comuni. Il problema è amplificato in edifici più vecchi, dove le tecniche costruttive e i materiali non prevedevano un’adeguata protezione fonica. In tali casi, i motori andrebbero spostati o isolati mediante interventi tecnici specifici (come ad esempio l’utilizzo di piedini antivibranti o box insonorizzanti )

L’amministratore di condominio, nel rispetto dell’art. 1130 c.c., ha il dovere di vigilare sul corretto funzionamento degli impianti comuni e sul rispetto della normativa in materia di sicurezza e salubrità. In presenza di segnalazioni dei condomini, è suo obbligo attivarsi per effettuare le verifiche tecniche e, se necessario, disporre interventi di adeguamento o manutenzione, eventualmente convocando un’assemblea straordinaria per discutere la spesa.

Tra i principali diritti che spettano a ciascun condomino rientra, senza dubbio, quello alla quiete domestica, intesa come diritto a godere pacificamente della propria abitazione senza subire interferenze indebite, soprattutto sotto forma di rumori molesti. La convivenza condominiale, per sua natura, impone un equilibrio tra l’uso legittimo delle proprietà private e comuni e il rispetto degli altri.

Il Codice Civile, all’art. 844 c.c., sancisce che il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni (di fumo, rumori, calore, ecc.) provenienti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, valutata anche secondo la destinazione degli immobili. Questo principio è applicabile in ambito condominiale, dove le “immissioni rumorose” possono derivare da:

– impianti tecnici (motori, autoclavi, ascensori)
– comportamenti dei vicini (schiamazzi, elettrodomestici rumorosi, strumenti musicali)
– attività illecite o irrispettose degli spazi comuni

La giurisprudenza ha più volte affermato che il limite della “normale tollerabilità” non ha un valore assoluto, ma va determinato in base al contesto, agli orari, alla durata e alla frequenza delle immissioni. La Corte di Cassazione (tra cui Cass. Civ. n. 14467/2001 e Cass. Civ. n. 26899/2020) ha chiarito che anche rumori al di sotto dei limiti di legge possono essere considerati illeciti se costanti, insistenti o idonei a disturbare il riposo o la vita familiare.

Il condomino che subisce disturbi alla quiete può:

– presentare diffida scritta al soggetto responsabile e all’amministratore
– chiedere una mediazione civile per risolvere la controversia
– agire in giudizio per ottenere l’inibizione delle immissioni e il risarcimento del danno (art. 2043 c.c.)

– se i rumori assumono un rilievo penale (art. 659 c.p.), può sporgere denuncia per disturbo della quiete pubblica

Il diritto alla quiete in condominio è un diritto fondamentale della persona, espressione della dignità e della tutela del benessere psicofisico. La sua salvaguardia non è solo un fatto giuridico, ma anche un segno di rispetto reciproco e di buona convivenza. Affinché il condominio resti un luogo vivibile, è essenziale che ciascun residente sia consapevole dei propri diritti, ma anche dei propri doveri.

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